Dalla uno alla otto
Andrea Bassani
Regola uno: dentro e fuori il più velocemente possibile.
Quando si accorgono che la signora Esther non si è tuffata nel suo piatto, ma lo sta sporcando di pomodoro – certo, pomodoro – Oswald ha già raggiunto la lavanderia senza che nessuno sospetti di lui.
Semplice, rapido, preciso.
Come un predatore. O un cacciatore, nel caso in cui il normale predatore diventi preda. Tipo i cacciatori di leoni, per fare un esempio. A Oswald piacciono gli esempi. Ma gli piace di più cacciare.
Perché è un professionista. L’esperienza lo aiuta. Le regole, di più.
Dal piano di sopra sente i tacchi preoccupati che si avvicinano al tavolo quattordici, insieme alle urla di chi ha capito.
Non ha bisogno di controllare. Sa che tutto è andato secondo il piano.
Regola due: il piano deve essere chiaro ed efficace.
Ci sono tante persone come Oswald che sono state fottute da un piano superficiale.
Il suo non lo è.
Segui un cameriere del locale per una settimana. Impari a conoscerlo: le sue abitudini, i suoi passatempi… Piano piano, diventi come lui. Anzi, diventi lui. Così è tutto più semplice quando lo aspetti in auto e gli proponi la scelta di Morpheus – Oswald ama questa metafora. Pillola blu: un biglietto di andata e ritorno per una vacanza alle Maldive. Pillola rossa: nove millimetri in mezzo agli occhi.
Spoiler: il cameriere ha preso la busta numero uno e Oswald lo ha sostituito al lavoro.
Poi è bastato informarsi sull’obiettivo.
Regola tre: studia sempre prima di agire.
Un paio di giorni ad analizzare i dossier – perché Oswald non legge, ma analizza – sono bastati. Si chiama Esther Jones.
Donna sposata, cinquantatré anni, in visita a Milano. Ha un loft a Staten Island, dove vive, e una villa con giardino nella campagna del New Jersey, dove accoglie amici e colleghi per i suoi ricevimenti. Un marito e due figli. Tutti e tre sanno che la mamma è in viaggio per affari. Nessuno dei tre sa che gli affari della mamma pagano il loft, la villa, e qualche colletto bianco che permette agli affari di andare ancora meglio. È un meccanismo semplice: fai soldi per spenderli pagando persone che ti permettano di farne ancora di più. Basta avere le conoscenze giuste per entrare nel giro e le palle per restarci. A Esther evidentemente non mancano.
Ma.
Probabilmente ha pestato i piedi alla persona sbagliata, altrimenti Oswald non sarebbe stato ingaggiato.
Ricapitolando: donna sposata, cinquantatré anni, in visita a Milano. Dove avrebbe potuto incontrare il suo contatto italiano, se non ad una festa a tema Anni ‘20?
Il festival dello stereotipo.
Ad Oswald gli stereotipi piacciono, perché rendono prevedibile il suo lavoro. Quindi, facile.
Locale addobbato, personale di sala agghindato, musica ad alto volume. Praticamente un sogno.
Oswald ora sorride, se ripensa all’incontro con Esther. Non gli capita spesso di entrare in contatto con le sue prede. E così, ha potuto finalmente applicare la regola quattro:
se hai un contatto con l’obiettivo, usa una frase a effetto.
“Buonasera signora. Ecco il suo risotto alla milanese”.
“Di solito non è con l’ossobuco?”.
“Arriva subito: l’osso ce lo mette lei; il buco lo faccio io”.
Un grande assolo di sax – davvero notevole, deve ammettere Oswald – aveva coperto lo sparo silenziato.
Ed ecco qui il nostro uomo ad aspettare che si calmino le acque perché
Regola cinque: aspetta che si calmino le acque prima di sparire.
La polizia fa evacuare l’edificio, con calma e ordine. Danno uno sguardo sommario ai presenti: boa piumati, ridicoli cappelli, gangster… Nulla di preoccupante per una festa.
Oswald esce con gli altri. Capelli tirati all’indietro, baffi e un gessato nero. Nessuno lo ferma, nessuno fa domande. Si calmano le acque, quindi sparisce.
Raggiunge l’auto parcheggiata a due isolati di distanza, si cambia e parte. Tre chilometri nella direzione opposta rispetto a casa sua. Parcheggia, conclude il noleggio e prende la metro.
Regola sei: non essere prevedibile.
Entra in casa. La donna che vive con lui – non è sua moglie, non è sua madre – si è appena tolta il cappotto quando lo saluta.
“Fatto?”.
“Fatto”.
Non hanno bisogno di dirsi altro. Lei sa quel che deve sapere. Lui sa che lei sa.
Sono persone eleganti, non è necessario sapere sempre tutto dell’altro. Come quando lavori bene con un collega – pensa Oswald – e non vuoi per forza conoscere ogni aspetto della sua vita: funziona bene così, quindi tanto basta.
Due esempi e una metafora. Bilancio straordinario.
Manca solo un calice per concludere la serata in modo straordinario.
È lui a preparare i bicchieri. Spumante, ovviamente. Lei non si aspetta nulla di meno e lui non vuole deluderla. Non in questo settore, almeno.
“A cosa brindiamo, Oswald?”.
“Alle serate perfette”.
“Sì, alle serate perfette”.
Lo guarda e sorride.
Aspetta, cosa? Perché brinda e sorride? – pensa Oswald.
Intanto, lei sfila il distintivo e lo poggia sul tavolo. Poi si abbandona all’abbraccio del divano in pelle.
“Sorpreso?”.
Certo che è sorpreso, cazzo. Ci sono due domande che gli girano nel cervello.
Lei?!
e
Come?!
Ma non le formula. Ha una dignità da mantenere e, soprattutto,
Regola sette: negare sempre.
Ok, forse questa è una regola generica. Però ha senso.
“Non capisco di cosa tu stia parlando…”.
Classica frase da film – o romanzo – di terz’ordine. Il fatto è che non ha mai vissuto una situazione così, non è abituato. Di solito è predatore. Ora, invece, è preda di una cacciatrice. Proprio come l’esempio dei leoni che gli piace tanto.
“Ho iniziato a sospettare di te quando ho visto il piatto di risotto, Non c’era l’ossobuco, e ho immaginato che avresti potuto farci una delle tue battute cretine”.
…
“Poi ti ho visto uscire dal locale vestito da gangster. Idea discreta, forse un po’ banale. Così ti ho seguito”.
Oswald non muove un muscolo. Dentro sta impazzendo, ma si trattiene. Non parla nemmeno.
“Ammetto che quando ti ho visto allontanarti in direzione opposta rispetto a casa, ho pensato di essermi sbagliata. La mia esperienza mi insegna che, chi è colpevole, cerca rifugio il prima possibile”.
Vedi che le regole funzionano?
“Poi hai commesso l’errore. Grave, gravissimo, per te. E lì ho capito”.
Quale errore? Io non commetto errori.
Oswald si guarda intorno avidamente, cambia posizione sul divano almeno tre volte in diciotto secondi e si umetta le labbra. Ma non vuole darle la soddisfazione di esprimere a parole la sua curiosità.
Lei si gode il momento. Ha vinto, lo ha battuto. Guardandolo ne ha la certezza.
Gusta l’ultimo sorso, poi parla.
“Hai fatto una cosa che non fai mai, dimostrando di avere una certa fretta e frenesia”.
Un’ultima pausa a effetto.
“Sei passato con il giallo”.
Silenzio.
Poi Oswald esplode.
“Cazzo! Nessuno mi aveva mai beccato. Lo sapevo che non avrei mai dovuto fare una cena con delitto con te. Hai usato una mia abitudine per incastrarmi. Non vale!”.
“È inutile che ti arrabbi con me, la colpa è solo tua”.
La sconfitta brucia, e fa male. Oswald non è abituato.
Ma lei ha ragione.
La colpa è solo sua.
Regola otto: mai passare con il giallo.