In una notte di pioggia
Francesca Faramondi
Era sola.
Lo sapeva, lo aveva sempre saputo, ma mai come questa sera sentiva la propria solitudine appiccicata al suo corpo come una camicia di forza.
Aveva perso l’ultimo autobus.
Non la spaventava tornare a casa a piedi: le piaceva camminare, ma scendeva una pioggia fitta e insistente.
Provò nuovamente ad aprire l’ombrello, ma una folata di vento lo fece rovesciare prepotentemente.
Si sedette sulla pensilina.
Prese dalla borsa il cellulare e cominciò a giocherellare con il ciondolo a forma lecca-lecca che pendeva dalla sommità.
La sua rubrica era piena, ma si accorse con dispiacere che non avrebbe potuto chiamare nessuno.
C’erano nomi di clienti, conoscenti, fornitori, contatti…ma nessun amico da svegliare nel cuore della notte per chiedere un passaggio.
Era sola.
Un lampo rischiarò la notte, stagliando la sua sagoma sul muro alle sue spalle.
Le macchine che passavano erano sempre più rare.
Chiuse gli occhi.
Silenzio, solo lo sferzare del vento tra i vicoli e il tamburellare della pioggia sull’asfalto.
La sua vita non era male.
Aveva una carriera ben avviata e…
Sgranò gli occhi con orrore: possibile che ci fosse solo questo?
Amici nessuno, famiglia, meglio non toccare un tasto dolente, fidanzato nemmeno a parlarne…
Sono sola.
Si alzò.
Era inutile aspettare.
Si sarebbe bagnata, ma non le importava.
Doveva muoversi, sfuggire ai propri pensieri, alle proprie paure, il silenzio stava diventando assordante.
Un brivido di freddo le attraversò la schiena.
In quel momento un’auto si fermò.
“Serve un passaggio?” domandò una voce dall’interno.
La donna fece un passo indietro.
I vetri appannati le impedivano di vedere chi c’era nel veicolo.
Immaginò l’automobilista leggermente chinato verso di lei, che tamburellava nervoso sul volante.
Chissà perché si era fermato?
Un lampo rischiarò nuovamente la notte, permettendole di cogliere la sua immagine riflessa in una pozzanghera.
Ecco perché si era fermato.
Era una bella donna non poteva negarlo: alta, fisico modellato da anni di nuoto sincronizzato, seno prosperoso e occhi magnetici.
“Allora?!” la voce si era fatta più impaziente.
La donna si guardò intorno, incerta sul da farsi.
Poi salì.
L’accolse con un sorriso.
In sottofondo una vecchia canzone country e il ritmico muoversi dei tergicristalli.
Il capitano Fiordiboni distolse lo sguardo.
Era accaduto.
Di nuovo.
La donna era stata trovata da un uomo che portava a spasso il proprio cane.
La sua mano emergeva da un cespuglio di oleandri.
Niente documenti, niente denaro, niente cellulare.
Probabilmente non l’avrebbero identificata, così com’era accaduto per le altre cinque.
Fiordiboni rabbrividì.
Si trovavano dinnanzi ad un serial killer ormai non c’erano più dubbi.
Le vittime erano sempre giovani donne, sole in un mondo che non si sarebbe accorto della loro scomparsa, almeno per un bel po’ di tempo.
Erano passati circa quattro mesi dal ritrovamento della prima vittima e fin ad ora erano riusciti ad identificare solo una ragazza e solamente grazie alla protesi che portava al seno.
Il modus operandi era sempre lo stesso.
Tutte erano state uccise con un colpo preciso alla gola inferto con un rompighiaccio.
I corpi abbandonati in parchi cittadini, in posture da rituale.
La stampa aveva ribattezzato il killer “l’uomo della pioggia” perché avevano sempre ritrovato le vittime dopo una notte burrascosa.
Con l’arrivo della bella stagione i temporali sarebbero diminuiti, ma non la sete di sangue dell’assassino: Fiordiboni ne era sicuro.
Avrebbe trovato nuovi pretesti e avrebbe continuato a colpire con estrema freddezza.
“Ci sono novità?!” domandò al tenente Pani della scientifica.
“Per ora niente di nuovo” ammise frustrato.
Avevano tutto ciò che serviva loro: impronte, tracce di DNA, frammenti di tessuto, segni di pneumatici eppure non erano ancora riusciti a dare un volto all’assassino.
“Prima o poi commetterà un errore che lo inchioderà” dichiarò Fiordiboni, ma la cosa lo frustrava.
Aspettare significava rischiare nuove giovani vittime.
E per l’indomani era previsto un altro temporale.
La pioggia sferzava violenta.
Il vento ululava tra i vicoli deserti e mugugnava tra le fronde degli alberi.
Il cielo era così nero che nemmeno i lampi riuscivano a rischiararlo.
Lei attendeva.
La macchina si era rifiutata di partire e il cellulare l’aveva mollata.
Proprio una bella giornata pensò sarcasticamente.
Non aveva nessuna intenzione di incamminarsi sotto quel diluvio.
Qualcuno prima o poi sarebbe passato…qualcuno passava sempre.
Alcune auto sfrecciarono al suo fianco, sollevando onde di acqua e fango, senza dare l’impressione di averla vista.
Decisi di uscire momentaneamente dal suo riparo e di mettersi più in vista.
Nel giro di due secondi era bagnata fradicia.
In compenso però un’auto si fermò.
Saltò dentro senza dare il tempo al conducente di chiederle se le serviva un passaggio.
All’interno una ragazza della sua età la fissò allibita.
“Che c’è?” la apostrofò senza guardarla in faccia, mentre cercava di scrollarsi un po’ d’acqua dai capelli “Non ti eri fermata per questo?!”
“Sì, ma…”
La ragazza non aggiunse altro.
Partì.
Restarono in silenzio per alcuni minuti.
“Sei fortunata lo sai?!” le disse la ragazza senza staccare gli occhi dalla strada e le mani dal volante.
“Perché?!”
La sua ingenuità la costrinse a voltarsi per un istante.
“Ma come perché, non sai che c’è un serial killer che va in giro nelle notti di pioggia ad uccidere ragazze?!”
“Ne ho sentito parlare” esclamò, mentre cercava qualcosa nella borsa…i suoi occhi si illuminarono quando lo trovarono, ma l’automobilista non si accorse di niente.
“Brutta storia. Spero che lo prendano quel bastardo!” continuò senza perdere la concentrazione sulla guida “Te lo ripeto sei stata fortunata!”
“Già, fortunata” le fece eco, accarezzando il suo fedele rompighiaccio.