Mille ragioni per non farlo
Fabrizio Leonardi
La doccia mattutina ha lavato via tutto: il suo odore, la sua passione; ma anche i brividi di confusione di lei, la sua gioia, le sue paure.
In quello specchio coperto di vapore vede tutto più chiaro. Sa cosa deve fare.
Infila velocemente le mutande perché non ama guardarsi allo specchio completamente nuda. Lo specchio riflette la verità del suo corpo e la verità è che sta invecchiando.
Nonostante i piccoli interventi chirurgici che ha fatto negli ultimi quindici anni: collo, labbra, seno e guance. Per mani e braccia non si può far niente, glielo hanno confermato almeno tre chirurghi plastici famosi.
Deve accettare il tempo che passa.
Non vuole accettare il tempo che passa. Non ora che è cambiato tutto nella sua vita. Il motivo del cambiamento sta dormendo serenamente di là, nella camera d’albergo.
Sono le sei e mezzo del mattino, la luce filtra dalle tende che volutamente non ha chiuso del tutto la sera prima; la città di Milano torna ad animarsi con la sua gente in movimento,
Nata nel 1944 in una Milano stanca che non aspettava altro che la fine della guerra. I suoi genitori sostenevano che avesse assistito ai fatti di piazzale Loreto. Guardandosi in quello specchio, sessantacinque anni dopo, pensa che quello sia solo un racconto di fantasia, fatto dai suoi genitori per renderla speciale. Oggi che è – e si sente – una donna speciale è convinta che sia una gigantesca menzogna. Però nessuno può provare che lei si trovasse lì, sono tutti morti. Per lo stesso motivo nessuno può provare che lei non fosse lì. Si veste, facendo sparire quel corpo asciutto in un elegante vestito bianco. Indossa pantaloni da quando suo marito è morto. A Carlo piaceva vederla indossare gonne. Era un uomo molto innamorato; anche lei lo era. Carlo era nato nel 1929, all’apice del Ventennio. Figlio di ricchi industriali lombardi, non avevano patito particolarmente la dittatura, l’occupazione e la liberazione.
Si erano conosciuti ad una festa: lei sedicenne bellissima, lui trentenne ambito dai salotti di una Milano che stava conoscendo uno sviluppo imprevedibile, insperato, euforico.
Fu amore a prima vista.
Allora non lo aveva capito. Lo capisce adesso.
Infila i tacchi non troppo vistosi, dà un’occhiata all’uomo nel letto matrimoniale e fotografa la scena. Poi ripete la stessa cosa memorizzando il tavolino all’ingresso con due bicchieri vuoti e una bottiglia di champagne, il suo preferito, rovesciata nel secchiello.
Esce da quella stanza e prende l’ascensore.
Si ferma al bar dell’albergo per prendere un caffè. Vorrebbe andare in quella torrefazione vicino a Porta Venezia, però non sa se farà in tempo. Troppe emozioni nel suo cuore.
A vent’anni, con quel matrimonio da favola, era convinta di avere tutto. Vent’anni dopo lui se ne era andato via, lasciandola sola.
Era scappata da Milano, città in cui non riusciva più a respirare perché l’aria si era fatta pesante. In fuga da tutto quel dolore aveva trascorso il tempo tra la residenza in Toscana e quella di Cannes, senza vivere un giorno.
Aveva deciso d’impulso di tornare nella sua Milano, mentre era lungo la Croisette. Ricordava ancora come aveva messo velocemente poche cose in una valigia, preso l’auto ed era tornata a casa.
Aveva combattuto, aveva speso tanti soldi in avvocati e aveva riconquistato quasi tutte le cose effimere di cui era circondata, compresi i club esclusivi dove tra una cena e l’altra si faceva casualmente della beneficienza.
Circa un anno prima, in uno di quegli incontri aveva incontrato l’uomo che giaceva nel letto di quella stanza d’albergo.
Un ricercatore di trentacinque anni (trenta in meno di te!) che chiedeva a nome della fondazione per cui lavorava ventimila euro per una ricerca scientifica il cui obiettivo era creare protocolli comportamentali efficaci per allievare parzialmente il dolore emotivo nei genitori di bambini malati di tumore. Biologo, alto, capelli scuri e ricci, aveva un eloquio ipnotico.
Li aveva convinti.
L’aveva accesa.
Non ne era innamorata. Non puoi innamorati a sessantacinque anni e lo sai. Però ne era stata travolta.
E tutto sarebbe finito lì, con quell’amore senile che avrebbe alimentato fantasie innocenti. Invece aveva forzato il destino, cambiando per sempre le cose.
Finita la cena, con la scusa di condividere un taxi, avevano avuto modo di stare insieme, da soli. Gli aveva lasciato un biglietto da visita con il suo numero.
Lui l’aveva chiamata il giorno dopo ed erano usciti quella sera stessa.
“Tuo marito dov’è?”, aveva detto, sfrontato, nel bel mezzo della cena.
Era molto elegante, aveva cercato di valorizzare il suo viso e il decolté su cui il chirurgo aveva fatto un ottimo lavoro. Sapeva che poteva ancora piacere, però essere desiderata da un uomo così giovane la destabilizzava, creando un senso di euforia esplosiva, non controllabile.
“È morto in un incidente automobilistico durante un rally. Aveva cinquantasei anni. Non avevamo figli, così sono scappata da Milano perché mi sentivo oppressa dalla città”.
“Sono tornata quando ho deciso di riprendermi quello che mi spettava. Alla sua morte ero sconvolta, avevo firmato un sacco di carte a vantaggio dei suoi fratelli. Così tornai per fare la mia guerra e quella guerra mi ha reso di nuovo viva.”
Quella sera fu un flusso di pensieri e ricordi e forse di racconti fantastici. E poi ci fu una notte piena di lussuria.
Adesso mentre esce dall’albergo e svolta in via Fatebenefratelli, di quella notte ricorda la sua felicità il mattino dopo, quando a letto era ancora dolorante e provata. Non era pronta. Non faceva sesso da oltre vent’anni.
“Tutto bene?”, sussurra a sé stessa mentre passa davanti ad una vetrina. “No”, risponde. No perché quel giovane dopo otto mesi di passione le aveva detto candidamente che grazie ad una borsa di studio si sarebbe trasferito negli USA.
Il suo cervello era andato in black out.
Sarebbe rimasta nuovamente sola ma non aveva come allora quarant’anni, ne aveva sessantacinque. Non voleva più lottare, non ne aveva più la forza.
Lui fantasticava del suo futuro, delle sue speranze, le diceva che poteva raggiungerlo quando voleva ma non le aveva mai detto “vieni con me, per sempre”.
Per questo il cervello aveva fatto click.
Il semaforo diventa verde, attraversa l’incrocio, fiera come una fiera, furiosa come una furia, maestosa come una regina, sicura come una dea.
Viene avvolta da una sensazione di euforia mistica. Non comprende ma assapora, il suo corpo vibra nell’estasi suprema chiamata felicità.
Questa sera ci sarà un’altra svolta importante nella sua vita. Si incontreranno nello stesso albergo. Faranno l’amore. Lei furiosamente, lui giocosamente, entrambi misteriosamente.
Prima di concedersi però berranno una bottiglia del suo champagne preferito che poi è anche quello preferito da Carlo. Una bottiglia vintage. Una bottiglia preziosa.
In uno dei bicchieri verserà una dosa letale di un farmaco psicotropo. Lascerà decidere al caso; solo uno sopravvivrà.
Ci sono mille ragioni per non fare questa sciocchezza e solo una per farla. Compirà un gesto così estremo perché è l’unico modo per regalarsi la pace che sta cercando.