Voci nel vento

Luca Laurenzi

Alzò il busto ansimando. A svegliarlo, tuttavia, non fu un brutto sogno. Una voce, lieve, portata dal vento, l’aveva destato. Ne era sicuro. E quando si alzò per svestirsi, gli cadde l’occhio fuori dalla finestra, nel buio che con lentezza si diradava. Il vento, lo strano e potentissimo vento proveniente dal Nord Europa, non dava segno di arrestarsi. Il Capo di Stato, Ivanoe Bonomi, aveva raccomandato alla popolazione di stare a casa e uscire solamente in caso di emergenza, imponendo un severo coprifuoco nelle ore critiche e fornendo qualsiasi tipo di assistenza. Persino il Re, Vittorio Emanuele III, aveva personalmente espresso le sue preoccupazioni avvisando gli italiani sulla pericolosità della sua forza distruttrice.
Ma per Vanni Giuliani, navigato ispettore della Regia Guardia per la pubblica sicurezza, le regole non si applicavano. Ragion per cui si diede una sciacquata al viso, si vestì in tutta fretta e scese le scale dell’appartamento dove viveva. Appena mise la faccia fuori dal palazzo, il vento lo scosse. Nonostante fosse tutto imbacuccato, sentì il gelido penetrargli nelle ossa. Per tacere della potenza dell’aria, che lo fece quasi arretrare. Per sua fortuna, il suo vice, il giovane e fidato Andrea Paolis, lo aspettava pochi metri più in là, all’interno della sua Alfa Romeo 20-30 HP, con la capote ben calata, per proteggerli da quel vento tagliente.
Quando fu dentro, Vanni si asciugò gli occhi, che gli lacrimavano.
“Andrea, che cos’abbiamo?”
“Omicidio, ispettore. Mi duole avervi tirato giù dal letto alle tre del mattino. Ma è un caso molto importante. Un ragazzo… Questa volta c’è qualcosa di strano.”
“Tu lo sai…”
Vanni si voltò verso il collega.
“Hai detto qualcosa?”
“Prego?”
Si guardò nello specchietto adibito alla retromarcia, studiandosi il volto scarno, segnato dalla Grande Guerra e dall’insonnia. Poi guardò fuori dal suo finestrino laterale, la città di Milano, che scorreva alla velocità della vettura, traballante per il vento. Una Milano buia, silenziosa, impaurita come i suoi abitanti. Testimone dello stesso orrore e dell’insonnia che teneva sveglio Vanni tutte le notti.
Quando furono entrati nell’appartamento, ‘invaso’ dai loro colleghi, Vanni e Andrea notarono lo stato di caos che regnava. Ma a colpirli maggiormente fu l’odore di incenso misto a qualcosa di più acre, viscerale. All’interno del piccolo soggiorno Ornello Deli, ventitré anni, capelli rossicci, legato a una sedia, il volto paralizzato, il corpo immobile e gli occhi spalancati, che fissavano il pavimento. Nessun segno di evidente violenza.
“È come se avesse visto qualcosa di talmente spaventoso da ucciderlo all’istante…”, mormorò Andrea, con lo sguardo fisso sulla scena del crimine.
“Non c’è sangue, né alcun segno di colluttazione…”, osservò Vanni, cercando di comprendere quello che era accaduto.
Alle pareti erano appese foto con editori e colleghi. L’uomo non era sposato.
Vanni e il resto degli investigatori frugò ovunque, e proprio quando ogni speranza di trovare il più piccolo indizio sembrava vana, l’ispettore trovò qualcosa. Qualcosa che, chiunque aveva fatto irruzione e aveva ucciso la vittima, non aveva trovato.
“Venite a vedere!”
All’interno della camera da letto c’era una sottile fessura, e aperta una piccola porta, dava accesso a un seminterrato. Una fessura appena visibile, nascosta dietro un poster di Greta Garbo. Il gruppo scese di sotto, e ci vollero pochi istanti per rendersi conto di aver fatto una scoperta fondamentale. E per rendersi conto che chi aveva messo a soqquadro la casa non aveva trovato quella stanza.
Il posto era ricavato sotto terra e v’era solamente una piccola scrivania, con documenti sparsi ovunque. E sul muro di fronte a loro decine e decine di fogli, fotografie e articoli di giornale.
“Che roba è?”, chiese uno degli agenti.
“Sono articoli su Mussolini e i suoi. A quanto vedo la vittima indaga su di lui da parecchio tempo. Ma c’è altro…”
Prima che potesse proseguire, Andrea richiese la sua attenzione.
“Guardate qui, Ispettore. Date un’occhiata a questo quaderno.”
All’interno c’erano diversi appunti. Ma quello che saltò ai suoi occhi furono alcune parole scritte in fondo all’ultima pagina, dopo dieci pagine bianche. Le scritte erano ‘sono solo’, ‘lui mi segue’, ‘so chi è’, mi sta osservando’.
“Ci capite niente, Ispettore?”
“No… Ma guarda qui.”
Vanni mostrò all’amico e collega l’articolo che aveva suscitato il suo interesse. E riguardava un omicidio vecchio più di vent’anni. Anche in quel caso la vittima era stata trovata senza vita nel suo appartamento, con gli occhi sbarrati.
“Forse aveva scoperto qualcosa che non doveva scoprire.”, disse Vanni.
“Chi ha messo a soqquadro l’appartamento… A rigor di logica la vittima dovrebbe essere stata torturata, e invece non ci sono segni di violenza fisica.”, replicò Andrea.
“Quando scopriremo la causa del decesso capiremo di più.”
Nei giorni seguenti l’indagine portò a una pista interessante: scoprirono infatti che il giornalista stava frequentando una donna. Nel giro di poche ore, grazie al giro di informatori di Vanni, risalirono anche a un nome: donna Alba Giovannini. La quale aveva legame con la vittima dell’omicidio di vent’anni prima sul quale stava indagando Delli: all’epoca era infatti la sorella di Giacomo Giovannini, giornalista di cronaca nera ucciso allo stesso modo di Ornello. Naturalmente, per gli investigatori, questa conoscenza non poteva essere un frutto del caso. E infatti le fonti di Vanni confermarono che Alba, ossessionata dall’omicidio del fratello, aveva avvicinato la vittima.
“Questo significa una sola cosa: che erano vicini alla verità. Piuttosto… su che cosa indagava Giovannini?”, affermò Andrea.
“Sulla stessa cosa sulla quale stava indagando Delli.”, rispose Vanni.
Il referto dell’autopsia arrivò dopo poche ore, e la ragione della morte di Delli combaciava con quella di Giovannini: infarto. Ma che Delli avesse avuto un infarto prima o dopo la forzata perquisizione di ignoti nell’appartamento, una cosa era fin troppo evidente: i nemici di Ornello e Giovannini, che ora erano nemici loro, non erano ‘cattivi qualunque’.
Lottando contro il vento imperante, che costringeva gli italiani in casa, si recarono all’abitazione di Donna Giovannini. Salvo tuttavia scoprire che la donna non abitava più lì da diverse settimane, che l’appartamento era immerso nel caos e che c’era solo una traccia scritta della stessa, all’interno di un biglietto d’auguri: ‘Abbiamo trovato la verità… Siete finiti.’

Le ricerche li portarono in un vecchio sanatorio fuori Milano, dove Alba era stata ricoverata, senza opporre resistenza. Un luogo tetro, avvolto in un silenzio spettrale, che il vento rendeva ancora più inquietante.
“Ho la sensazione che Donna Giovannini non sia totalmente pazza.”, disse Vanni, mentre entravano all’interno della struttura.
“Che intendete?”, gli chiese Andrea.
“Potrebbe essere un modo per mettersi al sicuro.”
“Qui? Improbabile!”
“Non lo è. Fino a due anni fa ci lavorava come infermiera.”
Quando varcarono la soglia della stanza, videro Alba, una donna dal volto scarno e pallido. Appena vide Vanni urlò e disse: “Stai lontana da me!”
Andrea si voltò verso il collega, che si girò a sua volta. Lo sguardo di ghiaccio.