Per la festa della Liberazione, il libro scelto da Letteratitudine è Senza l’ombra di un bel fior, il romanzo storico di Roberto Cattaneo che narra la storia vera dei partigiani Neri e Gianni, che durante la Resistenza hanno combattuto tra il Comasco e Milano.

Ecco l’articolo di Nicoletta Bortolotti.

Gianna e Neri sono partigiani. E sono uccisi dai partigiani. Senza l’ombra di un bel fior, dello scrittore comasco Roberto Cattaneo, narra con stile, ritmo e veridicità magistrali una delle pagine più oscure e vergognose della Resistenza. Così come Gianna e Neri, che alla Resistenza hanno consacrato giovinezza, affetti e vita, continuano a narrarci una delle pagine più luminose e struggenti della nostra libertà.
Giuseppina Tuissi, nome di battaglia Gianna, ha ventun anni, ha gli occhi blu e viene da una famiglia operaia poverissima di Baggio. Il comando garibaldino di Milano decide di mandarla a fare la staffetta partigiana sulle montagne intorno al lago di Como, di cui ogni giorno, in sella alla sua bicicletta, percorre salite e discese. Qui incontra il giovane Luigi Canali, nome di battaglia Capitano Neri, dall’eroismo dei “neri” etiopi, comandante della 52° Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”.
Contrastando i tedeschi sotto la neve da un gelido rifugio in quota e spiando i ricchi gerarchi che, nelle lussuose ville liberty sulla riva del Lario, affamano il Paese, Gianna e Neri s’innamorano del medesimo sentimento intenso e assoluto che nutrono per la causa antifascista.
Dopo essere stati catturati dai repubblichini e sottoposti per settimane a indicibili torture, sono fra i protagonisti della cattura a Dongo di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e di suo fratello Marcello, e di altri importanti esponenti del regime. Ma anche di aver svuotato le valigie che i fascisti si sono portati appresso per varcare, impuniti, il confine con la Svizzera, e aver raccolto e registrato un tesoro inimmaginabile. Oro, denaro, gioielli e pietre preziose.
La sfortuna dei due giovani partigiani è quella di essere moralmente più integri e puri di molti loro compagni. E decidere che, dopo una temporanea custodia al Partito Comunista Italiano, quel patrimonio, idealmente e materialmente rubato a ogni singolo cittadino, dovrà tornare allo Stato.
Il tesoro, tuttavia, scompare nell’avida tasca di alcuni membri del partito, e Gianna e Neri, che lo scoprono frantumando muri d’omertà, menzogne e opportunismo, vengono traditi e giustiziati poco dopo la Liberazione dai fratelli con i quali e per i quali hanno combattuto.
Roberto Cattaneo, con una lingua nitida e potente alla Rigoni Stern e alla Hemingway di Per chi suona la campana, una minuziosa ricognizione storica che non toglie vivacità ai colpi di scena, una restituzione cruda e senza orpelli retorici sia delle feroci, disumane torture dei fascisti, sia delle divergenze e delle lotte di potere intestine alla Resistenza, ci offre un romanzo a due voci sulla dimenticanza. Sul “morbo d’Alzheimer” collettivo, come l’ha definito il giornalista Cecco Bellosi, che ha avvolto la vicenda.
Con un protagonista silenzioso. Nero “come la fossa scavata per poi calarci una bara”, invisibile ma sempre presente, suggerito solo dalle luci della costa che tremano in lontananza come simboli. Il lago. La sua comparsa alla fine di una svolta, a un bivio per Milano o per la tenebra, può voler dire morte o vita.
Se una grande storia cambia lo sguardo, quel lago non lo puoi più guardare come prima, come una magnifica e muta cartolina. Dopo la lettura di questo racconto, in apnea, con una carica emotiva talmente penetrante che l’inquietudine ti si ramifica nei bronchi, quel lago, quel buio, quei lumi che orlano la sponda, ti si attaccano al respiro. Non te li togli più di dosso.

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