Sabato 10 febbraio, su Libero, il bell’articolo di Lorenzo Cafarchio sulla nostra ripubblicazione di Viaggio in Barberia, il reportage nelle regioni del Maghreb realizzato da Luciano Bianciardi alla fine degli anni Sessanta.

«E poi viaggiare secondo me non serve a nulla, ai giorni nostri, non ci impari proprio niente». Con queste premesse cosa può andare storto? Niente. L’economia galoppa e alla fine degli anni Sessanta l’uomo, come i mercati, diventa globale e ogni occasione è buona per fuggire dalla propria esistenza. Quindi inforcata una Fiat 125 «color turchese targata Tripoli 84793» i chilometri in cui costruire una narrazione di viaggio sono davanti ai nostri occhi. Chilometri ottomila, per l’esattezza, da Algeri a Marrakech passando per la capitale della Libia tornando a quella dell’Algeria.

Tanti i temi affrontati da Bianciardi nel libro uscito per la prima volta nel 1969: il cibo, il paesaggio, la storia antica, ma anche la musica.

Musiche nelle quali perdersi, proprio laddove Franco Battiato si spinse per fermare la latinizzazione della lingua araba, ma anche da inventare. Rivisitato il Canto degli italiani, con buona pace di Goffredo Mameli, c’è tutto il repertorio degli
anni Cinquanta e Sessanta. Sfrecciando sulle strade del Maghreb intonando La società dei magnaccioni, Ho visto un re –Enzo Jannaci, testo di Dario Fo– per approdare a Little Tony. Sono incontri, scontri, avvicendamenti. C’è, dentro il racconto, tutto un trattato sociologico su chi viaggia e su chi, da autoctono, cerca un contatto con uomini e donne giunti dell’altra sponda del Mediterraneo.